Dopo un anno lontano dalle panchine, Massimiliano Allegri torna a guidare il Milan, il club che per primo gli aveva regalato la consacrazione ai massimi livelli. Un ritorno che sa di scommessa per entrambe le parti: da un lato i rossoneri, reduci da una stagione deludente e desiderosi di ritrovare certezze; dall’altro il tecnico livornese, deciso a rilanciarsi dopo l’amaro addio alla Juventus e il periodo di pausa.
Allegri torna così nel club dove aveva vinto il suo primo scudetto, nel 2010-2011, guidando un Milan che ancora faceva affidamento sui senatori come Ibrahimović, Seedorf e Nesta. In quella stagione, il suo calcio pragmatico e flessibile si era rivelato perfetto per equilibrare talento e solidità, portando i rossoneri a interrompere l’egemonia dell’Inter. Ora, però, lo scenario è completamente diverso: il Milan ha chiuso il campionato lontano dalle prime posizioni e senza qualificazione europea, e a lui il compito di riportare il club al livello che la sua storia impone.
La carriera di Allegri è segnata da una costante: la capacità di gestire le pressioni e di far rendere le squadre in contesti difficili. Alla Juventus ha vissuto la sua stagione d’oro, con cinque scudetti consecutivi, cinque Coppe Italia e due finali di Champions League sfiorate, a testimonianza della sua abilità nel saper leggere le partite e cambiare in corsa. Non un visionario come Gasperini, né un motivatore dirompente come Conte: Allegri è l’uomo della razionalità, del gioco equilibrato e dell’adattabilità, qualità che ora il Milan ha deciso di mettere nuovamente al centro del progetto.
Il ritorno di Allegri rappresenta, quindi, più di un semplice cambio in panchina: è il tentativo del Milan di ritrovare stabilità e concretezza dopo anni di alti e bassi. Una scelta di campo che affida al tecnico livornese il compito di rimettere insieme i pezzi, ritrovare compattezza e guidare una squadra che dovrà ricostruire la propria identità. Una nuova avventura per Max, e forse anche per il Milan.